Curiosità

“Femmene, cane e baccalà, p’essere bbone s’anna mazzià”. La necessità di “mazziare”, di percuotere con una mazza il proprio cane e/o la propria moglie, per ottenerne il massimo in termini di rettitudine e di obbedienza: per renderli malleabili, nelle case napoletane si applica ad un terzo soggetto, non meno importante: il baccalà. A Napoli quel che è bello (sole, cielo e mare) non costa niente. E quello che costa (poco o) niente, è bello. E buono. Un esempio: il baccalà. Per il basso prezzo, il baccalà e lo stoccafisso: due eredi del merluzzo che hanno superato il maestro, erano un tempo considerati “il pesce dei poveri”. Un po’ come il pesce azzurro.Che fosse per amore autentico, o semplicemente per la capacità di amare quel che ci si può permettere (uno dei segreti della felicità), di baccalà a Napoli se ne mangiava davvero tanto, e tutto l’anno; dunque non solo a Natale. Poi il consumo si ridusse del 70%, a favore della carne, status symbol di un raggiunto – o desiderato: dunque, in entrambi i casi, da ostentare – benessere.Baccalà e stock sono recentemente tornati a galla: la moderna scienza dell’alimentazione ha conferito dignità ad un comportamento alimentare che i napoletani avevano adottato per necessità. Il risultato del match con la carne, che sembrava perduto, si è infatti praticamente ribaltato: pari per le proteine (18% per tutt’e due), lieve vantaggio del baccalà per gli zuccheri (ne contiene di meno), e nuovo pari per quanto riguarda i grassi (0,3% per tutti e due). Ma quest’ultimo è un pareggio fittizio: i grassi del baccalà non sono gli stessi della carne. Il merluzzo contiene infatti dei “grassi insaturi”: i famosi omega 3, detti anche “grassi buoni”, perché ripuliscono le arterie.

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